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DISCORSI ’ ??? tutte le maestà divine appesa la tenesse, non è egli cosa in- verisimile? Si certamente, e tale che né pur Eustazio sopra Omero, né Fornuto nel libro della natura degli dii il san negare. Ma che? tutte le guerre ingiustissime, tutti gli amori disonestissimi ch’Omero infra gli dii ha finti, non sono tutti inverisimili? stomachevoli? Non ha dubbio; e molti gravi scrittori ne fanno strepito. So ben come negl’inverisimili i poeti vengon difesi, ricorrendo al favor della Musa, al senso allegorico, alla discrezione del benigno lettore, nel fnodo che ? dottissimo Mazzoni eruditamente insegna. Ma checché ne sia, queste difese per noi non vagliono: io, quel che fin qui ho detto degl’ inverisimili, non vo’ che mi vaglia se non a mostrare che, poiché ne’ migliori poemi cotai inverisimili si truovano, se non deono esser accettati gí’inverisimili, almeno hassi a poter credere che il verisímil poetico non debba esser disaminato e ponderato con quel rigore che si farebbe il ve- risimile della deposizione d’un testimonio in causa capitale. Che al rimanente non ha dubbio che il buon poeta non dee dal verisimile dipartirsi, poiché avendo per fine il diletto, il mirabile senza il verisimile più tosto offende che diletti: Quodcumque ostendís mihí sic, incredulus odi, dice Orazio. La ragione è d’Aristotale, perché mentre alcun ci vuoi dar a creder cose incredibili, par che ne tratti da sciocchi, e ne rimaniamo offesi. Lasciamo dunque lo ’nverisimile, e diciamo che del verisimile il poeta tutte e tre le specie, la necessaria, la frequente e la rara, adopera. Imperocché il fin del poeta od è il diletto, o non si conseguisce se non col diletto: al diletto due condizioni unitamente sí richieggono: il mirabile e ? credibile, perché il credibil senza il mirabile ha del dis- sipito, il mirabil senza il credibile ha dello stomacoso, l’uno e l’altro congiuntamente del saporito. Ora il credibile agevol- mente si trae dal verisímil necessario e dal frequente, il mi- rabile dal raro. E perٍ il poeta tutte e tre queste specie di verisimile adopera, ma diversamente, essendo che nel fine e nella sostanza dell’avvenimento della favola il poeta adopera più volentieri la rara, ed imita quivi le cose che necessariamente G. Bonarslli, Filli di Sciro. n