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DELL’AUTORE ALLI LETTORI Queste sono le cose, che venner dette all’Aggiunto nel- l’Accademia degl’Intrepidi, quando egli ebbe in difesa della sua Celia a ragionarvi; le quali con la velocità della viva voce molte loro imperfezioni nascondendo, poteron forse in quel punto a quegli uditori parer non ingrate. Ma ora che per comandamento della stessa Accademia è convenuto porle in iscrittura, potrebbono agevolmente a qualche tempo venir in man d’alcuno che, con maggior attenzione e con minore tolleranza leggendole, in tutt’altra stima le avesse, che allora da quell’adunanza, verso di lui troppo cortese e benigna, giu- dicate ne furono. Per tanto è ben di sapere che l’Aggiunto, alla poesia nondimeno (e non fia malagevole il crederglielo) men ch’ad ogni altro ha mai atteso; ma chiamato per sua buona fortuna ne gli anni più giovanili a’ servigi del sere- nissimo Alfonso II, duca di Ferrara, trovٍ che quivi, né pur anche l’ozio sapendo non esser virtuoso, era per lor solazzo anche a’ non poeti lecito il poetare; dal cui esemplo allettato, vennegli fatta quella favola pastorale, ch’è poi piaciuto al- l’Accademia di mettere troppo nobilmente in istampa. Nella qual favola se l’amor di Celia non fosse regolatamente finto, l’autore afferma che, in ciٍ conoscendo se stesso, puٍ agevol- mente credere che l’opera sua contenga questo ed altri mag- giori errori, i quali tutti vorrebbe che a lui fossero condo- nati, come ad uomo che non avendo mai aspirato alla gloria di buon favoleggiatore, non ha gran fatto abbadato, né forse avrebbe saputo farlo, a ben favoleggiare. Ha fatta nondimeno