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va la morte cercando. Il cerchio è mio.
Ecco, questa è la gola
ch’ei già molti anni ha cinta,
e si ne serba ancor freschissime orme.
È mio quel cerchio, ed io...
Mel.Ahi, Clori...
Nar.Oimè!
Per.Pastori,
fermatevi, tacete.
Alcun non sia che ardisca
mover piede né lingua.
O ron. Tu segui, ninfa.
Clori.È mio quel cerchio, ed io
fui che ’n terra il gittai. Or, se morendo
puٍ pagarsi il mio fallo, altri noi paghi.
Ho capo anch’io, che tronco
saprà cadere e insanguinare il ferro
vendicator de la reale offesa.
Niso.Deh taci, tu. — Signore,
costei d’amor vaneggia: a te non lice
dar più l’orecchie a’ sogni
de’ forsennati amanti.
È vero, ed io noi niego,
ell’ha parte nel cerchio,
ma non già ne l’errore.
Ove e quando gittollo, e chi la vide?
Io lo gittai pur dianzi, e lo gittai
colà per quel dirupo
che ’nfin al rio s’avvalla; or men rimembra.
Per.È vero; e fu da questo lato, ov’io
presso a l’acqua il trovai.
Niso.Filino il vide,
Filino il semplicetto.
Ei, che non sa mentir, egli tei dica.
Clori.Crudel, deh se m’hai tolto
l’alma e la vita, almeno