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quivi ’n terra l’avea;
miraval fisso, e tutto
di lagrime il bagnava,
spesse volte chiamando:
— Oh sfortunata Filli ! oh Tirsi ingrato ! —
Niso.Oimè, che fia cotesto? Or segui, or segui.
Fil.E che vuoi più ch’io segua?
Niso.Come poscia tei diede?
che fé’, che disse allora?
Fil.Ella di me s’avvide,
e mi chiamٍ: v’andai, e di sua mano,
ma d’una man tremante,
fredda via più che ? marmo, intorno al collo
questo cerchio mi cinse,
e dissemi piangendo,
tal ch’appena l’udii, cosi già roca
avea la voce: — O bel garzَn (mi disse)
vanne, che ? ciel t’aiti;
porta or or questo cerchio,
(né far ch’altrui tei veggia),
a quel pastor che Niso or qui s’appella,
e digli...
Niso.E che dèi dirgli?
Fil.Non so se mi rammenti.
Niso.Oh smemorato!
Fil.Non mi gridar. Si si, or mi sovviene.
— Digli ch’ei riconosca
in questo cerchio intiero
la rotta fé di Tirsi.
E viva ei pur felice,
come ’nfelice i’ moro. —
Niso.Ahi, certo è Filli!
Che più temerne? Oh me via più ch’ogni altro
fin ne le mie venture
sventurato pastore!
O dolcissima Filli,