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la propria patria; per cui ogni qual volta giva, com’era di suo costume, a diporto col padre ( 1 ) pregavalo all’escire di casa la conducesse ove si ammirassero oggetti di belle arti, o in qualche luogo di storiche ricordanze, acciò le esistenti moli fossero punti di appoggio alla sua memoria per più chiaramente ritenere le vicende e lo assieme di questo popolo. E da sagace com’era frequentò in ispecie uno degli edifizi più eloquenti a ricordarci di molti secoli non solo di Felsina, ma di Romagna intera, ma d’Italia . Bene spesso videsi così tenera bolognese percorrere que’sette Santuari distintamente denominati, che formano sotto un sol tetto, in un sol tempio l’antica Basilica sacrata al Pro tomartire Stefano . Accennava ella con precisione il magnifico capitello e i bei marmi disposti nella chiesa dedicata a S. Pietro come avanzi della Cattedrale fatta ergere su la strada Emilia, poco lungi da Bologna, dal suo santo Vescovo Zama, e che devastata dagli Ungari, n’ebbe la pre sente il nome e gli onori in meno pericolosa situazione . Da essa chiesa ponendo piede Luigia nella contigua detta del Calvario, pareva indagare se fu veramente Tempio d’Iside, ovvero se ne ponesse la prima pietra il santo Vescovo Petronio; nè stayasi muto il cuor suo innanzi il di Lui sepolcro che avrebbe richiesto più onorato e come santo e come tal Pastore, non già curante gli agi proprj, ma il bene e l’ingrandimento del suo gregge. Nella chiesa de’ Confessi diceva essere compresa da tanto religioso sentimento al pensiero dell’immenso novero delle sacre reliquie ch’erale impossibile occupare sua mente di estranee ricerche. Trapassando la chiesa detta dell’Atrio sdegnavasi perchè con mal intesa denominazione si dica di Pilato il grande Catino di marmo offerto in dono dal buon re Liutprando e dal nipote Ildebrando; ai quali sapeva rimasto