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prese di lei. Giovinetta ancora giunse a potere senza fa tica comprendere i latini scrittori, e ad ammirarne la bellezza nella loro lingua nativa: il che non è a dire quanto poi le fosse di giovamento. Poichè gl’Italiani, che intendono a dettare eleganti ed ornate prose debbono porre lungo studio nella latina favella, osservare in quella la proprietà di molte voci, che nella lingua volgare dalla latina furono trasportate, e cercare d’imitarne la maestà, tenendo quella misura, che è indizio di purgato giudizio. Ma perchè i preclari ingegni sono dalla natura stessa portati alla conoscenza del vero, in cui soltanto la men umana riposa, volle Laura darsi alla filosofia, e di quella tanto si piacque, che infin che visse non mai ne dimise il culto e l’amore. Della metafisica conobbe quanto a dotta persona saria vergogna ignorare, e tralascid volentieri l’investigare quelle questioni troppo astratte, o troppo sottili, le quali posando spesso nel falso mostrano l’ignoranza o la superbia dell’umano intelletto. Allo studio delle leggi dell’universo, all’osservazione dei naturali fenomeni, e a tutto che si appartiene alla fisica generale e alla sperimentale ella applicossi con infaticabile diligenza. Però non è a dire quanto ai maestri e ai parenti fosse caro l’ammirare tanta sapienza in una giovinezza cosi fiorente, e come in essi fosse vivissimo il desiderio di vedere il valor di Laura rimeritato dalle pubbliche lodi. Poichè ella aveva ingegno virile, e colle ben poste cure si era così alto levata, pregaronla che vinta la soverchia modestia volesse far palese la sua virtù; questo ella dovere ai genitori e alla patria, che per lei riceverebbe novella gloria; essere onesto, che prendendo a disputare pubblicamente intorno alla filosofia mostrasse, che alle donne ancora è concesso fissar lo sguardo nei misteri della sapienza. Ma Laura, che per naturale disposizione sopra ogni altra