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la più alta stima, come di tutti possedeva di già l’amore. Lucia stavasi in Roma col marito ( colà chiamato dal di lui fratello, che poi fu Cardinal Bertani ) ed a lei ferivano tuttodì l’orecchio voci di disapprovazione per l’atra bile con cui Annibal Caro vendicava la troppo severa censura da Lodovico Castelvetro scagliata contro la sua cele bre canzone «Venite all’ombra de’ gran gigli d’oro.» La saggia matrona sapeva che, per tema, e per qualche minaccia dell’avversario, era costretto il Castelvetro or di fuggire, or di nascondersi qua e là; e comprendeva ella che quanto questi due superbi ingegni avevano procurato lustro alla repubblica letteraria colle opere loro, non meno scandalo recavanle con si acerba contesa; a discapito pur anco della fama di uno e della tranquillità dell’altro. Godevasi la Bertana di ambedue questi la stima, e con essi corrispondeva per lettera; ma pregare il Castelvetro ad essere men pertinace nella critica contro il Caro, pareale dargli sospetto, atteso le alte protezioni di cui il famoso traduttore dell’Eneide andava altero, ch’ella prendesse le parti del più forte; e da prudente dama, temeva offendere quello che, sebbene patrizio modenese e letterato distinto, avevasi appoggi assai meno considerevoli dell’altro. Laonde si decise, per tentare la riconciliazione di quegli animi, di volgersi all’insaputa del Castelvetro, al Caro, ed esporgli quanto fosse a dolersi che due cele berrimi scrittori stessero in siffatta discordia; e fecesi a dimostrargli che sarebbe stata ansiosa, non meno che superba di divenirne ella stessa la riconciliatrice. Quindi entra a ragionare col Caro delle di lui dispiacenze col Castelvetro, e tale si è questo passo della sua lettera che credesi bene il trascriverlo, onde si abbia più perfetta idea della forza e del delicato dire di lei. — «A me pare che