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invigilava quelle destinate alla campagna, ove difficilmente si ricorre ad altri soccorsi: nè sentivasi al caso di fare distinzione che da Dio non fu mai fatta. Agli occhi di Maria, fosse la dama, o la villana, che dovessero abbandonarsi alle cure delle sue allieve 9, erano due donne. Al contrario quando alcuna delle giovani levatrici, piene delle doti che dall’arte loro si chieggono, trovavasi priva di mezzi, ella ad ogni spesa suppliva senza esigere ringraziamento e gratitudine.

Bologna giudicò non bastante compenso a tanto merito, il tributo ch’erale reso da ogni dotto in rima e in prosa, e che la famosa Clotilde Tambroni la encomiasse in una sua dotta orazione; ma a pubblico attestato di stima il 4 maggio 1829, la volle ascritta fra gli accademici soprannumerari Benedettini. Onore, invero, tanto grande quanto degnamente compartito.

Non fu la Dottoressa aliena dal coltivare le amene lettere; che stupenda era in poesia latina e italiana; ma troppo umilmente sentendo di sé, nulla riteneva, per cui nulla di lei ci è rimasto. Nella musica abbastanza esperta per esporsi nelle solennità a suonare l’organo in varie chiese, e più di frequente in S. Caterina di Saragozza, alla quale apparteneva come parrocchiana.

Questa insigne la sera dei... Gennajo 1842, concambiando con auguri di una notte felice le benedizioni che invocavano su donna si modesta e si pia, le due persone tenute a suo servizio, placidamente si adagiava al letto: un istante dopo, udito dalla fantesca un lieve lamento del l’amata padrona, accorsa al letto, la trovò oppressa da sincope. Non si ommise chiamare il professore fisico, ma si vold dal parroco, il quale in men che si dice, fu presso la Dottoressa, non però più morente, ma già spenta.