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pertinenti. Ma eccola finalmente sul seggio da dove do veva recare utile alla umanità. Li 11 febbraio del 1804. fu eletta direttrice delle ostetricanti con permesso di ammaestrarle in propria casa; e qui in vero si appalesarono i morali di lei meriti. Ella era delle sue allieve in un tempo madre tenera, mecenate previdentissima, rigorosa maestra. Al presentarsele di una novella alunna era estremamente circospetta nel giudicarne; non si fidava al primo aspetto di chi le ripromettesse ingegno; e del pari se talvolta scarso in alcuna parevale, osservava se le restasse in quella a sperare un compenso nella buona volontà, nello studio, nella prudenza, e in tante altre doti, che pur sarebbero indispensabili in chi si destina al letto del sofferente. Maria giustamente raccappricciava pel barbaro abuso di spesso affidare due vite in un tempo alle mani di femmine rozze, inette, e non di rado o si vili che per amore dell’oro, o si ignoranti che per presunzione, e fors’anco si stolte che per malintesi pregiudizi, azzardano, o accondiscendono’a tentare cose a loro inconcepibili affatto: imprudenze che anco coronate da esito fortunatissimo meriterebbero severe punizioni. Pertanto la Dottoressa nelle lezioni che apprestava non risparmiava studio, tempo, cure, fatiche; adattava i mezzi alle circostanze; e sebbene, come fu notato, profondissima nel latino e non affatto digiuna di greco, servivasi del famigliare linguaggio, e spesse fiate del dialetto bolognese, giacchè ella voleva essere intesa dalle sue allieve, non ammirata. I suoi modi erano cordiali, affabili, amichevoli con esse; quando però le passava ad esame era inesorabile: il suo cuore non debole, ma buono, sensatamente ripugnava macchiarsi della falsa pietà che poteva spandere il lutto in tante, povere famiglie: per cui sopra tutte