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e spirito e cuore; e ponendo pur mente allo sguardo tenero ed ingenuo, ma vivace e penetrante che sfolgorava nel di lei volto, conobbe aver ella sortita ottima indole, perspicacissimo intelletto, ardente desiderio d’apprendere, per cui senza difficoltà alcuna aderì alle brame del di lui amico Don Giacomo, d’instruirla nella latinità. Compiuto in breve da Maria studio così imponente con grande soddisfazione e compiacenza del Rodati, che ne l’aveva ammaestrata, seguì lo zio a Bologna, chiamato, per quanto sembra, ad officiare il tempio al Ponte dell’Idice; il cui annesso spedale per alloggio dei Pellegrini che da Firenze portavansi, negli scorsi secoli, da questa via a Roma, ci ricorda l’ospitalità che i bolognesi praticavano col forestiero. Nella città, madre degli studi, era dessa attesa da quel Sebastiano Canterzani, non che di Bologna sua terra natale, non della Italia sola, ma della intera Europa ammirazione; il quale, prevenuto dal Rodati qual fosse la gemma che nella giovinetta gl’indirizzava, egli, con la bontà di cuore per cui l’amore di ognuno si ebbe mai sempre, coi modi anzichè affabili, umili, onde la fiducia traeva pur anco dal l’animo più timido, assunse l’impegno di ammaestrarla in ogni parte della più recondita filosofia, desideroso di scorgerla, se fosse stato possibile, a sorpassare lui stesso.

Diretta Maria nello studio del vero da chi era di questo caldo e schietto investigatore, non andò guari che prevenne l’aspettazione di ognuno, e sciogliendo ardui quesiti con franchi giudizi, chiare risposte ed eloquente facondia ( sebbene modestissima fosse ) fece mostra di una mente assai vasta, già ricca di erudizione, già profonda nello argomentare. Laonde il Canterzani deliberò di applicarla alla medicina e alla chirurgia; e posela pertanto