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La vittoria non poteva esser dubbia.

E non fu.

Cedevano al romano urto i nemici.

I nostri furono meravigliosi.

I prodi di Garibaldi sfolgorarono.

Contenne le vittoriose armi la pietà verso i fuggenti. Eglino abbandonavano la stessa Velletri dispensandoci dall’oppugnarla oggi.

L’alta notte velava la fuga.

E la fuga non era vergognosa.

Vergognosa era la invasione del territorio Romano — vergognoso l’avanzarsi a combattere una Repubblica che non oltrepassava i propri confini — una Repubblica che sorgeva dal suffragio universale, forte del suo diritto, e parata a resistere a tutti gli sgherri del dispotismo.

Il bombardatore di Palermo e di Messina capitanava (è voce comune) sedici mila uomini — anelava a deliziarsi, secondo Nerone, nello incendio di Roma.

Ma i passi amari della fuga lo aspettavano.

Romani -o vigiliate dalle mura alla difesa della Città – od usciate in campo aperto a combattere voi siete invincibili il diritto e Dio stanno colle vostre forze - Chi contro Dio?

Eccovi le parole stesse del Generale in Capo, del valoroso Roselli.

Al Ministro della Guerra in Roma


Velletri 20 Maggio 1849.
Ore 9 e un quarto antimeridiane.