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di esse pesa tutta la responsabilità (responsabilità terribile!) dei fati che qui si compiono: su di esse severi è implacabili scenderanno i giudizi dei posteri.

La questione Romana non è più ora, il ripetiamo, questione politica soltanto, ma è fatta questione religiosa. Un popolo intero riassumendo le tradizioni della sua terra, desumendo le ispirazioni sue da quanto v’è di più grande nella sua storia, ha dichiarato incompatibile il dominio temporale dei Pontefici colla gloria, colla dignità di questa Italia che stanca di poltrir sonnacchiosa, quasi ludibrio delle Nazioni, alfine si è alzata alla santa, alla generosa vita dei popoli. Se il Principe che l’Europa vorrebbe imporci di nuovo fosse, come i tanti altri, volgare erede di privilegi volgari, la lotta potrebbe essere più o meno sanguinosa, più o meno feroce, ma ad una serie maggiore o minore di vittime limiterebbersi soltanto le sue conseguenze. Se l’impresa che l’Europa volle assumersi riguardasse soltanto l’indipendenza o il servaggio di un paese, tale impresa potrebbe essere più o meno imprecata, ma gl’interessi morali del genere umano non ne resterebbero scossi. Ma coll’assunto che l’Europa ora si prefigge si scrollano tutte le fondamenta dell’edifizio religioso, si strugge in mille cuori la fede, s’insinua lo scetticismo e lo sconforto in mille petti che con ardore aderirono fin quì ai più augusti principii che nobilitar possano e purificare il cuore dell’uomo. L’intero Stato Romano ha votata la decadenza del potere temporale del Pontefice, l’intero Stato coll’organo dei suoi Circoli, della sua Assemblea, dei suoi Municipi ha di-