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Sei mesi scorrevano di una opposizione sorda, terribile, fatale; e i disastri di Lombardia, dovuti in gran parte alla defezione del Papato, gli animi inacerbiva, mostrando loro questa istituzione incompatibile colla gloria d’Italia. Diciamo questa istituzione, riguardandola temporalmente; del Papa principe parliamo, venerando l’augusto carattere di cui come sacerdote è investito. Il novembre giunse e lo sdegno, sì a lungo compresso, traboccò; il popolo insorse e chiese ragione del sangue che per l’indipendenza d’Italia avea sparso, degli stenti che per quell’indipendenza avea patiti, dell’avvenire che un’insana parola gli avea chiuso dinanzi. I falsi consigli acciecarono il Principe che in quel moto generoso di un popolo non vide che l’irruenza di pochi faziosi; e, alle moltitudini che gridavano Italia e indipendenza, Pio IX rispose fuggendo nel regno di Napoli.

Quella fuga era una seconda defezione, ma la longanimità del popolo non cessò. Il popolo chiese se un principe costituzionale potea in tal guisa lasciare il suo stato, e trovò che la Costituzione era stata una mendace larva. Egli chiese chi avea lasciato il Principe per fare le sue veci dopo la sua partenza, e un biglietto si rinvenne solo, un meschino biglietto, in cui Pio IX raccomandava i palazzi apostolici e la vita dei suoi famigliari. Lo stupore vinceva il dolore e il popolo nondimeno aspettò. Una Commissione di governo veniva infatti dopo alcuni giorni nominata da Gaeta. Tacciamo dell’incostituzionalità di tutti questi atti, perchè una larva, il ripetiamo, e non altro era stata sempre la Costituzione che il