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gli scolastici Scoto Erigena e Anselmo di Canterbury, fino ai Riformatori Lutero e Calvino ed oltre, si trascina la contesa disperatamente intricata sul libero arbitrio e sulla predestinazione. Dio è onnipotente ed onnisciente; nulla succede ch’Egli non abbia voluto e previsto dall’eternità. Dunque l’uomo non è libero; poichè se egli agisse altrimenti da ciò che Dio ha fissato, Dio non sarebbe onnipotente ed onnisciente. Dunque non dipende dalla volontà dell’uomo ch’egli pecchi o faccia il bene. Come allora può essere responsabile dei suoi atti? Come potrebbe accordarsi con la giustizia e la bontà di Dio la punizione o la ricompensa data all’uomo per azioni che in fondo sono azioni proprie di Dio?

Questa è la forma in cui si presentava il problema del libero arbitrio allo spirito umano oscurato da sacro delirio. La dottrina del peccato originale, le questioni sulla redenzione per merito proprio o mediante il sangue del Salvatore, per mezzo della fede o delle opere, secondo i diversi modi di grazia, crebbero in mille modi legate a quel dilemma già abbastanza fecondo di cavilli, e dal quarto al diciasettesimo secolo echeggiarono in dispute sul determinismo e l’indeterminismo nelle scuole e nei chiostri di tutta la cristianità. Forse non c’è alcun soggetto di meditazione umana sul quale esista nella polvere delle biblioteche moderne più lunga serie di mai più aperti volumi in folio. Ma la contesa non rimase circoscritta nei libri. Furenti accuse d’eresia con tutte le atrocità che