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induttive a noi segnato da La Mettrie, per sapere sotto quali condizioni si sviluppi la coscienza7. Egli pecca contro una delle prime regole delle investigazioni filosofiche: «Entia non sunt creanda sine necessitate» poichè, a quale scopo la coscienza dove basta la meccanica? E se gli atomi sentono, a quale scopo gli organi dei sensi? Haeckel non si cura di comprendere la difficoltà, pur da me abbastanza fatta osservare, come dai numerosi «atomi-anime» possa nascere la coscienza unica della massa cerebrale. Del resto io accenno alla sua concezione soltanto per collegare a ciò la domanda perchè mai egli considera gesuitismo negare la possibilità di spiegare la coscienza dall’aggruppamento e movimento degli atomi, se nemmeno lui pensa a spiegare la coscienza e la suppone soltanto come un attributo degli atomi, non ulteriormente analizzabile?

Ad un morfologo esercitato più che altro nello studio delle forme, si può perdonare se non è capace di tener separati due concetti come quelli di volontà e di forza8. Ma anche da parti meglio armate furono commessi gli stessi errori. Rinnovando sogni antropomorfici dell’infanzia della scienza, filosofi e fisici spiegarono l’azione esercitata da lontano da corpo su corpo attraverso lo spazio vuoto, mediante una volontà insita negli atomi. Una meravigliosa volontà infatti, alla quale due obbediscono sempre! Una volontà che, come quella di Adelaide nel Götz, deve volere, sia che voglia o no, e ciò in proporzione diretta del prodotto della massa