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soltanto fino a tre o quella di un Boschimano che conta appena fino a due, o di un Chiquito che non possiede nemmeno un vocabolo per numerare10. In altre parole, l’impossibilità di stabilire ed integrare le equazioni differenziali della formula del mondo e di discuterne le conseguenze, non si fonda sulla natura delle cose, ma dipende dall’impossibilità di ottenere i necessari dati materiali, e, quand’anche ciò fosse possibile, sulla loro incommensurabile e forse infinita estensione, sulla loro molteplicità e sul loro aggrovigliamento.
La conoscenza della natura dell’Intelligenza di Laplace presenta così il più alto grado immaginabile della conoscenza della nostra propria natura, e nelle ricerche sui limiti di questa conoscenza noi possiamo prender quella per base. Ciò che l’Intelligenza di Laplace non potesse penetrare, resterebbe affatto nascosto alla nostra, chiusa in limiti tanto più ristretti.
Vi sono ora due punti in cui anche l’Intelligenza di Laplace invano si sforzerebbe di penetrar più addentro, e dove noi siamo costretti a restar perfettamente fermi.
Prima di tutto ciò bisogna ricordare che la conoscenza della natura, che fu più su rappresentata come temporaneamente soddisfacente al nostro bisogno di causalità, in realtà non lo è e non è affatto una conoscenza. La teoria secondo la quale il mondo consta di piccolissime parti, sempre esistite ed eterne, dalla cui forza centrale provengono tutti i movimenti, è per così dire soltanto il surrogato di una spiega-