[St. 7-10] |
libro iii. canto vi |
85 |
Urta tra lor la dama e il brando mena,
E gionse un moro in su un gianetto bianco,
Che coda e chioma avia tinto de alchena;1
Lei tagliò il nero dalla spalla al fianco.
Non era a terra quel caduto apena,
Che afronta uno Arbo, e fece più ni manco;
La spada adosso in quel modo gli calla,
Sì che il partì dal fianco in su la spalla.2
Quasi che insieme tutti ebber la morte;
Chi qua chi là per el campo cascava,3
E, quando il primo bussava alle porte
Giù dello inferno, lo ultimo arivava.
Più fiate la assalitte Daniforte;
Ma, come Bradamante a lui voltava,
Quel fugge e sguincia, e ponto non aspetta,
E torna e volta, e sembra una saetta.
Egli avea sotto una iumenta mora,
Di pel di ratta, con la testa nera,
Che in su la terra mai non se dimora
Con tutti e’ piedi, tanto era legiera.
Vero è che in dosso avia poche arme ancora,
Chè non portava usbergo, nè lamiera:
La tòcca ha in testa e la lancia e la targa,
E cinta al petto una spadazza larga.
Armato, come io dico, il saracino
Tenea sovente la dama aticciata;
Or corre, e volta poi che e’ gli è vicino,4
Or da traverso mena una lanciata.
Ecco la dama ha visto Martasino,
Che al suo Rugier ferisce della spata:
Di dietro il tocca, sopra delle spalle,
E ben si crede di mandarlo a valle.
- ↑ Mr. e P. chioma — P. tinte.
- ↑ P. parte.
- ↑ Mr. e P. per il. 24. P. al fianco.
- ↑ T. egli e; Mr. egli vicino; P. egli è.