[St. 11-14] |
libro iii. canto v |
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Non me ne avidi alora se non quando
Fu la doglia e il furor de me partito;
Ora in gran dono e grazia te adimando
Che questo assalto sia per me finito.
Mentre che così stava ragionando,
E Rodamonte si fo risentito,
Qual, veggendosi gionto a cotale atto,
Quasi per gran dolor divenne matto.
Non se trovando ne la mano il brando,
Che, com’io dissi, al prato era caduto,
Il celo e la fortuna biastemando
Là dove era Rugier ne fu venuto.
Con gli occhi bassi a la terra mirando,
Disse: Ben chiaramente aggio veduto
Che cavallier non è di te migliore,1
Nè teco aver potrebbi alcun onore.
Se tal ventura ben fosse la mia,
Ch’io te vincessi il campo alla battaglia,
Non sono io vinto già di cortesia?
Nè mia prodezza più vale una paglia.
Rimanti adunque, ch’io me ne vo via,
E sempre, quanto io possa e quanto io vaglia,
Di me fa il tuo parere in ogni banda,
Come il maggiore al suo minor comanda.
Senza aspettar risposta via fu tolto,
In men che non se coce a magro il cavolo;
Il brando su dal prato avea racolto,
Il brando qual già fo del suo bisavolo.
In poco de ora longi era già molto,
Chè sì camina che sembra un dïavolo;2
Nè mai se riposò quel disperato
Sin che la notte al campo fu arivato.3
- ↑ Mr. non ne di; P. non v’è.
- ↑ P. Così cammina.
- ↑ P. campo è.