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orlando innamorato |
[St. 23-26] |
Partiti da la fata del castello,1
Ove l’arme di Ettòr già star suoleano,
Sorìa, Damasco e quel paese bello
Senza travaglia già passato aveano.
Sendo gionti sul mare ad uno ostello,
Perchè era tardi, aloggiar vi voleano,
Ma quello è aperto ed è disabitato,
Nè appar persona intorno in verun lato.2
Guardando giuso al lito il re Gradasso,
Verso una ripa a pietre dirocata,
Ove la batte l’onde e il mare al basso
Stava una dama ignuda e scapigliata,
Che era legata con catene al sasso,
Chiedendo morte la disconsolata.
Morte, diceva, o tu, morte, me aiuta,
Chè ogn’altra spene è ben per me perduta!
E’ cavallier callarno incontinente
Giuso nel fondo di quel gran petrone,
Per saper meglio l’aspro conveniente
Di quella dama, e chi fosse cagione;
Ma lei piangeva sì dirottamente,
Ch’e’ sassi mossi avria a compassïone,
Dicendo a quei baron: Deh! per pietate
Tagliatime qua tutta con le spate.
E se il celo, o fortuna vol che io pera,
Per le man de omo almen possa perire,
Nè divorata sia da quella fiera,
Chè peggio assai è il strazio che il morire.
Volean saper la cosa tutta intiera
E’ duo baron, ma lei non potea dire,
Sì forte in voce singiociva, e tanto
Tra le parole gli abondava il pianto.
- ↑ P. fata e dal.
- ↑ Mr. omm. intorno; P. Nè appare persona in.