[St. 51-54] |
libro iii. canto ii |
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Ma quel superbo non fece risposta,
Mosse con furia e la sua mazza afferra;
Nè più fece Aquilante indugia, o sosta,
Ma la sua lancia lascia andare a terra;
E poi col brando in mano a lui se accosta,1
E tra lor cominciarno una aspra guerra,
Dando e togliendo e di sotto e di sopra,
E quel la maccia e questo il brando adopra.
Di quel ferir Grifone ha poca cura,
Chè era guarnito a piastre fatte ad arte,
Ma lui taglia al pagano ogni armatura,
Come squarciasse tegole di carte.
Gionselo un tratto a mezo la cintura,
E in duo cavezzi aponto lo diparte;
Così andò mezo a terra quel fellone,
Dal busto in giù rimase ne lo arcione.2
Quel che è caduto, già non vi è chi lo alci,
Ma brancolando stava ne l’arena;
E il suo destrier traea terribil calci,
Facea gran salti e giocava di schiena,
Onde convien che il resto al prato balci.
Ma non fu gionto in su la terra apena,
Che un pezo e l’altro insieme se sugella,
E tutto integro salta ne la sella.
Se a quei baron parea la cosa nova,
Quale è incontrata, a dir non è bisogno,
Chè, avengachè Turpino a ciò me mova,
Io stesso a racontarla mi vergogno.3
Disse Aquilante: Io vo’ veder la prova,
Se io faccio dadovero o pur in sogno;4
Così dicendo adosso a quel si caccia,
E Orilo adosso a lui con la sua maccia.
- ↑ Mr. e P. Poi con il. — S. Mr. E quel la malicia; P. E quel la mazza.
- ↑ P. in su l’.
- ↑ P. omm. a.
- ↑ T. e Mr. insogno.