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[St. 51-54] libro iii. canto ii 33

         Ma quel superbo non fece risposta,
     Mosse con furia e la sua mazza afferra;
     Nè più fece Aquilante indugia, o sosta,
     Ma la sua lancia lascia andare a terra;
     E poi col brando in mano a lui se accosta,1
     E tra lor cominciarno una aspra guerra,
     Dando e togliendo e di sotto e di sopra,
     E quel la maccia e questo il brando adopra.

         Di quel ferir Grifone ha poca cura,
     Chè era guarnito a piastre fatte ad arte,
     Ma lui taglia al pagano ogni armatura,
     Come squarciasse tegole di carte.
     Gionselo un tratto a mezo la cintura,
     E in duo cavezzi aponto lo diparte;
     Così andò mezo a terra quel fellone,
     Dal busto in giù rimase ne lo arcione.2

         Quel che è caduto, già non vi è chi lo alci,
     Ma brancolando stava ne l’arena;
     E il suo destrier traea terribil calci,
     Facea gran salti e giocava di schiena,
     Onde convien che il resto al prato balci.
     Ma non fu gionto in su la terra apena,
     Che un pezo e l’altro insieme se sugella,
     E tutto integro salta ne la sella.

         Se a quei baron parea la cosa nova,
     Quale è incontrata, a dir non è bisogno,
     Chè, avengachè Turpino a ciò me mova,
     Io stesso a racontarla mi vergogno.3
     Disse Aquilante: Io vo’ veder la prova,
     Se io faccio dadovero o pur in sogno;4
     Così dicendo adosso a quel si caccia,
     E Orilo adosso a lui con la sua maccia.

  1. Mr. e P. Poi con il. — S. Mr. E quel la malicia; P. E quel la mazza.
  2. P. in su l’.
  3. P. omm. a.
  4. T. e Mr. insogno.