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[St. 19-22] libro iii. canto ii 25

         Ma, come quel che avea molto ardimento,
     Non teme impaccio e la forza radoppia,
     Sì che in fin la divelse a grave istento,1
     E nel stirparla parbe tuon che scoppia.
     Con orribil romore uscitte un vento,
     E tutti quelli ocelli a l’aria soffia:
     Il vento uscitte, come Turpin dice,
     Dal buco proprio ove era la radice.

         For di quel buco il gran vento rimbomba
     Giettando con romor le pietre in sue
     Come fossero uscite de una fromba;
     E riguardando il cavallier là giue,
     Vide una serpe uscir di quella tomba,
     Indi li parbe non una, ma due;2
     Poi più de sei e più de otto le crede,
     Cotante code invilupate vede.

         Or, perchè sia la cosa manifesta,
     Era la serpe di quel buco uscita,
     Quale avea solo un busto ed una testa,
     Ma dietro in dece code era partita;
     E Mandricardo ponto non se arresta,3
     Chè volea sua ventura aver finita;
     Col brando in mano alla serpe se accosta,
     E il primo colpo a mezo il collo aposta.

         Ben gionse il tratto dove era apostato,
     Dietro alla testa, a ponto nella coppa;
     Ma quel serpente aveva il coio fatato.4
     Sì come un scoglio al legno che se intoppa,
     Adosso al cavallier se fu lanciato;
     E con due code alle gambe lo agroppa,
     Con altre il busto e con altre le braccia,
     Sì che legato a forza in terra il caccia.5

  1. Mr. e P. a grande.
  2. Mr. parbe.
  3. P. un punto.
  4. Mr. cuoio; P. cuoi.
  5. P. Sì legato che.