[St. 3-6] |
libro iii. canto ii |
21 |
Ragionando con sieco tuttavia
De arme e de amore e cose dilettose,
Lo ricondusse in quella prataria
Ove eran l’opre sì maravigliose.
Lo alto edificio avanti se vedia,
Candido tutto a pietre luminose,
Con torre e merli, a guisa di castello:
Mai vide al mondo un altro tanto bello.
Un quarto avea de miglio ad ogni fronte,
Ed era quadro aponto di misura;
Dritto al levante avea la porta e il ponte,
Ove se puote entrar senza paura:
Ma come ariva cavalliero, o conte
Sopra alla soglia dell’entrata, giura
Con perfetta leanza e dritta fede
Toccar quel scudo che davante vede.
Posto è il bel scudo in mezo a la gran piaccia,1
A ricontarvi el come, non dimoro;
Avea la corte intorno ad ogni faccia
Logie dipinte con sotil lavoro;
Gran gente era ritratta ad una caccia,
E un gentil damigello era tra loro:
Più bel di lui tra tutti non si vede,
Ed avea scritto al capo: Ganimede.
Tutta la istoria sua vi era ritratta
Di ponto in ponto, che nulla vi manca:
Come, cacciando alla selva disfatta,
Lo portò sino al cel l’acquila bianca,
Qual poi sempre fo insegna di sua schiatta,2
Sino al giorno che Ettòr, l’anima franca,
Occiso fu nel campo a tradimento;
Cangiò Priamo e l’arme e il vestimento.
- ↑ T. e Mr. piaza.
- ↑ P. porta.