[St. 27-30] |
libro iii. canto viii |
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Come egli andasse per la strata a passo,
Cotal saliva quel pagano arguto.
Quivi era il ruïnare e il gran fraccasso:
Adosso a lui ciascun cridava aiuto.
Se Lucifero uscito o Satanasso
Fosse giù da lo abisso, e qua venuto
Per disertar Parigi e ogni sua altura,
Non avria posto a lor tanta paura.
E nondimanco in tanti disconforti
Se adiffendiano per disperazione,1
Chè ad ogni modo se reputan morti,
Nè stiman più la vita o le persone.
Poi che, condotti a dolorosi porti,
Veggion palese sua destruzïone,
E pali e dardi tranno a più non posso
Con sassi e travi a quel gigante adosso.
Lui pur salisce e più de ciò non cura,
Come di penne o paglia mosse al vento;
Già sopra a’ merli è sino alla cintura,
Nè ’l contrastar val, forza, nè ardimento.
Come egli agionse in cima a quelle mura,
E nella terra apparve il gran spavento,
Levossi un pianto e un strido sì feroce,
Sino al cel credo io gionse quella voce.2
Ma quel superbo una gran torre afferra,
E tanta ne spiccò quanta ne prese;
Quei pezzi lancia dentro dalla terra,
Dissipa case e campanili e chiese.
Orlando non sapea di tanta guerra,
Chè in altra parte stava alle contese;
Ma la gran voce che di là si spande
Venir lo fece a quel periglio grande.
- ↑ P. Si difendevan.
- ↑ P. Che sino al cielo gionse.