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[St. 27-30] libro iii. canto viii 121

         Come egli andasse per la strata a passo,
     Cotal saliva quel pagano arguto.
     Quivi era il ruïnare e il gran fraccasso:
     Adosso a lui ciascun cridava aiuto.
     Se Lucifero uscito o Satanasso
     Fosse giù da lo abisso, e qua venuto
     Per disertar Parigi e ogni sua altura,
     Non avria posto a lor tanta paura.

         E nondimanco in tanti disconforti
     Se adiffendiano per disperazione,1
     Chè ad ogni modo se reputan morti,
     Nè stiman più la vita o le persone.
     Poi che, condotti a dolorosi porti,
     Veggion palese sua destruzïone,
     E pali e dardi tranno a più non posso
     Con sassi e travi a quel gigante adosso.

         Lui pur salisce e più de ciò non cura,
     Come di penne o paglia mosse al vento;
     Già sopra a’ merli è sino alla cintura,
     Nè ’l contrastar val, forza, nè ardimento.
     Come egli agionse in cima a quelle mura,
     E nella terra apparve il gran spavento,
     Levossi un pianto e un strido sì feroce,
     Sino al cel credo io gionse quella voce.2

         Ma quel superbo una gran torre afferra,
     E tanta ne spiccò quanta ne prese;
     Quei pezzi lancia dentro dalla terra,
     Dissipa case e campanili e chiese.
     Orlando non sapea di tanta guerra,
     Chè in altra parte stava alle contese;
     Ma la gran voce che di là si spande
     Venir lo fece a quel periglio grande.

  1. P. Si difendevan.
  2. P. Che sino al cielo gionse.