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[St. 19-22] libro iii. canto vii 103

         — Serai tanto crudel, dicea barone,
     Che il mio mal te diletti e trista sorte?
     Se qua me lasci in tal condizïone,
     Le gambe mie seran radice intorte,
     El busto tramutato in un troncone,
     Le braccie istese in rami seran porte;
     Questo viso fia scorza, e queste bionde
     Chiome se tornaranno in foglie e in fronde.

         Perchè cotale è nostra fatasone,
     Che trasformate a forza in verde pianta,
     Stiamo rinchiuse, insin che alcun barone
     Per sua virtute a trarcene se avanta.1
     Tu m’hai or liberata de pregione,
     Se la pietate tua serà cotanta,
     Che me accompagni quivi alla rivera;
     Se non, mia forma tornarà qual era.

         Il giovanetto pien di cortesia
     Promesse a quella non la abandonare,
     Sin che condotta in loco salvo sia.
     La falsa dama con dolce parlare
     Alla riviera del Riso se invia;
     Nè vi doveti già meravigliare
     Se còlto fu Rugiero a questo ponto,
     Chè il saggio e il paccio è da le dame gionto.

         Come condotto fu sopra a la riva,
     La vaga ninfa per la mano il prese,
     E de lo animo usato al tutto il priva,
     Sì che una voglia nel suo cuor se accese
     De gettarsi nel fiume a l’acqua viva.
     Nè la donzella questo gli contese;
     Ma seco, così a braccio, come istava,
     Ne la chiara onda al fiume se giettava.

  1. Mr. se avanta; P. s’avvanta.