[St. 15-18] |
libro ii. canto v |
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La pietra che ’l verzier suolea voltare,
Tutta è sparita e più non se vedia;
Ora per tutto si può caminare.
Largo è il paese, aperto a prateria,
Nè fonte nè palagio non appare;
De ciò che vi era, sol la dama ria,
Io dico Falerina, ivi è restata,
Sì come prima a quel tronco legata.
La qual piangendo forte lamentava,
Poi che disfatto vidde il suo giardino.
Nè come prima tacita si stava
Negando dar risposta al paladino;
Ma con voce pietosa lo pregava
Che aggia mercè del suo caso tapino,
Dicendogli: Baron, fior de ogni forte,
Ben ti confesso ch’io merto la morte.
Ma se al presente me farai morire,
Sì come io ne son degna in veritade,1
E dame e cavallier farai perire,
Che son pregioni, e fia gran crudeltade.
Acciò che intendi quel che ti vo’ dire,
Sappi che io feci con gran falsitade
Questo verziero e ciò che gli era intorno,
In sette mesi; ora è sfatto in un giorno.
Per vendicarme sol de un cavalliero
E de una dama sua, falsa, putana,
Io feci il bel giardin, che, a dirti il vero,
Ha consumata molta gente umana;
Nè ancora mi bastò questo verziero:2
Io feci un ponte sopra a una fiumana,
Dove son prese e dame e cavallieri,3
Quanti ne arivan per tutti e’ sentieri.
- ↑ Ml. e Mr. pietosa.
- ↑ Ml., Mr. e P. Nè mi bastò ancor questo.
- ↑ Ml., Mr. e P. prese dame.