[St. 63-66] |
libro ii. canto iv |
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Ciascuna uscita sempre è stata vana
E con arisco grande di morire;
Pur la scrittura del libretto spiana
Che ad ogni modo non se puote uscire
Per una porta volta a tramontana,
Ma là non vi val forza, e non ardire,
Nè ’l proprio senno nè l’altrui consiglio,
Chè troppo è quello extremo e gran periglio.
Perchè un gigante smisurato e forte
Guarda la uscita con la spata in mano,
E se egli avvien che dato li sia morte,
Duo nascon del suo sangue sopra il piano,
E questi sono ancor de simil sorte:
Ciascun quattro produce a mano a mano,
Così multiplicando in infinito
Il numero di lor forte et ardito.1
Ma prima ancor che se possa arivare
A quella porta, che è tutta d’argento,
Per quella serrata, vi è molto che fare,2
E bisognavi astuzia e sentimento.
Ma il conte a questo non stette a pensare,
Come colui che avea molto ardimento,
Seco dicendo a sua mente animosa:
Chi può durare, al fin vince ogni cosa.
Così fra sè parlando il camin prese
Giù per la costa verso tramontana,
E vide, come al campo giù discese,
Una valle fiorita e tutta piana,
Ove tavole bianche eran distese,
Tutte apparate intorno alla fontana;
Con ricche coppe d’oro in ogni banda
Eran coperti de ottima vivanda.3
- ↑ T. e Mr. In numero.
- ↑ Ml. e Mr. Per quella serrata; P. Per
quella fiata.
- ↑ T. e Ml. Piatti erano; Mr. Erano.