[St. 55-58] |
libro ii. canto iv |
73 |
Poi che mirato ha il conte quello occello,[1]
Sotto il suo tronco a l’ombra morto il lassa,
E raconcia il cimiero alto a pennello,[2]
E ’l scudo al braccio nel suo loco abassa.
Verso la porta dove è l’asinello,
Drieto a ponente, in ripa al fiume passa,
E poco caminò che ivi fu gionto,
E vide aprir la porta in su quel ponto.
Mai non fo visto sì ricco lavoro
Come è la porta nella prima faccia.
Tutta è di zoie, e vale un gran tesoro;
Non la diffende nè spata nè maccia
Ma uno asino coperto a scaglie d’oro,
Et ha l’orecchie lunghe da due braccia:[3]
Come coda di serpe quelle piega,
E piglia e strengie a suo piacere, e lega.
Tutto è coperto di scaglia dorata,
Come io vi ho detto, e non si può passare;
Ma la sua coda taglia come spata,
Nè vi può piastra, nè maglia durare;
Grande ha la voce e troppo smisurata,
Sì che la terra intorno fa tremare.
Ora alla porta il conte s’avicina:
La bestia venne a lui con gran roina.
Orlando lo ferì de un colpo crudo,
Nè lo diffende l’incantata scaglia;
Tutto il scoperse insino al fianco nudo,
Perchè ogni fatason quel brando taglia.
L’asino prese con l’orecchie il scudo,
E tanto dimenando lo travaglia,
Di qua di là battendo in poco spaccio,
Che al suo dispetto lo levò dal braccio.
- ↑ P. ha mirato.
- ↑ Ml. alto e penello.
- ↑ Mr. Et a l’.