[St. 39-42] |
libro ii. canto iv |
69 |
Per le chiome la prese il conte Orlando,
Fuor di quel lago la trasse nel prato,[1]
E via la testa gli tagliò col brando,
Come gli aveva il libro dimostrato,
Sè tutto di quel sangue rossegiando,
E l’arme e sopraveste in ogni lato,
L’elmo se trasse e dislegò le rose;
Tinto di sangue poi tutto se ’l pose.
Di quel sangue avea tocco in ogni loco,
Perchè altramente tutta l’armatura
Avrebbe consumata a poco a poco
Quel toro orrendo e fora di natura,
Che avea un corno di ferro et un di foco.
Al suo contrasto nulla cosa dura,
Arde e consuma ciò che tocca apena:
Sol se diffende il sangue di sirena.
Di questo toro sopra vi ho contato,
Che verso mezogiorno è guardïano.
Il conte a quella porta fu arivato,
Poi che ebbe errato molto per il piano.
Il sasso che ’l giardino ha circondato,
S’aperse alla sua gionta a mano a mano,
E una porta di bronzo si disserra:
Fuora uscì il toro a mezo della terra.
Muggiando uscitte il toro alla battaglia,
E ferro e foco nella fronte squassa,
Nè contrastar vi può piastra nè maglia,
Ogni armatura con le corne passa.
Il conte con quel brando che ben taglia,
A lui ferisce ne la testa bassa,[2]
E proprio il gionse nel corno ferrato:
Tutto di netto lo mandò nel prato.
- ↑ P. E fuor del.
- ↑ T. con la.