[St. 31-34] |
libro ii. canto iv |
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Lei non risponde al suo parlar nïente,
E mostra del suo crucio aver diletto.
Ahi, disse il conte, falsa e fraudolente!
Ch’io lo posso sapere al tuo dispetto.
Or mo di novo mi è tornato a mente
Che in un libretto l’aggio scritto al petto,
Qual mi mostrarà il fatto tutto a pieno.
Così dicendo sel trasse di seno.
Guardando nel libretto ove è depento
Tutto il giardino e di fuore e d’intorno,
Vede nel sasso, ch’è d’incerco acento,[1]
Una porta che n’esce a mezogiorno;
Ma bisogna a l’uscir aver convento
Un toro avanti, che ha di foco un corno,
L’altro di ferro, et è tanto pongente,
Che piastra o maglia non vi val nïente.
Ma prima che vi ariva, un lago trova,
Dove è molta fatica a trapassare,
Per una cosa troppo strana e nova,
Sì come apresso vi vorò contare;
Ma il libro insegna vincer quella prova.
Non avea il conte a ponto a indugïare,
Ma via camina per l’erba novella,
Lasciando al faggio presa la donzella.
Via ne va lui per quelle erbe odorose,
E, poi che alquanto via fu caminato,
L’elmo a l’orecchie empì dentro di rose,
Delle qual tutto adorno era quel prato.
Chiuse l’orecchie, ad ascoltar si pose
Gli uccei, ch’erano intorno ad ogni lato:
Mover li vede il collo e ’l becco aprire,
Voce non ode e non potrebbe odire,
- ↑ T. che dincerco ha cento.