[St. 15-18] |
libro ii. canto iv |
63 |
Via caminando come disperato,
Verso il giardino andava quel barone;
Un ramo d’uno alto olmo avea sfrondato,
E sieco nel portava per bastone.
Il sole aponto alora era levato,
Quando lui gionse al passo del dragone;
Fermossi alquanto il cavallier sicuro,
Guardando intorno del giardino al muro.
Quello era un sasso de una pietra viva,
Che tutta integra atorno l’agirava;[1]
Da mille braccie verso il ciel saliva,
E trenta miglia quel cerchio voltava.[2]
Ecco una porta a levante s’apriva:
Il drago smisurato zuffellava,
Battendo l’ale e menando la coda;
Altro che lui non par che al mondo s’oda.[3]
Fuor della porta non esce nïente,
Ma stavi sopra come guardïano;
Il conte se avicina arditamente
Col scudo in braccio e col bastone in mano.
La bocca tutta aperse il gran serpente,
Per ingiottire quel baron soprano;
Lui, che di tal battaglia era ben uso,[4]
Mena il bastone e colse a mezo ’l muso.
Per questo fu il serpente più commosso,
E verso Orlando furïoso viene;
Lui con quel ramo de olmo verde e grosso
Menando gran percosse gli dà pene.
Al fin con molto ardir gli salta adosso,
E cavalcando tra le coscie il tiene;
Ferendo ad ambe mano, a gran tempesta
Colpi radoppia a colpi in su la testa.[5]
- ↑ T., Ml. e Mr. la girava.
- ↑ Ml., Mr. e P. omm. o.
- ↑ T. e Ml. Altro.
- ↑ Mr. è ben.
- ↑ P. omm. in.