[St. 47-50] |
libro ii. canto iii |
53 |
La bocca se percosse con la mano,
Poi che ebbe detto questo, il sire ardito,
A sè dicendo: Cavallier villano,
Chi te fa ragionare a tal partito?
Eti scordato adunque il viso umano
Di quella che d’amor te ha il cor ferito?
Chè per lei sola e per la sua bontate
L’altre son degne d’esser tutte amate.1
Così dicendo vede di lontano
Bandiere e lancie dritte con pennoni;
Ver lui van quella gente per il piano,2
Parte sono a destrier, parte pedoni.
Davanti a gli altri mena il capitano
Duo cavallieri a guisa de prigioni,
Di ferro catenati ambe le braccia.
Ben presto il conte li cognobbe in faccia;
Perchè l’uno è Grifon, l’altro Aquilante,
Che son condotti a morte da costoro.
Una donzella, poco a quei davante,
Era legata sopra a Brigliadoro.
Pallida in viso e trista nel sembiante,
Condutta è con questi altri al rio martoro:
Orrigille è la dama, quella trista.
Ben lei cognobbe il conte in prima vista;
Ma nol dimostra, e va tra quella gente
E chiede di tal cosa la cagione.
Un che avea la barbuta ruginente,
E cinto bene al dosso un pancirone,
Disse: Condutti son questi al serpente
Il qual divora tutte le persone
Che arrivan forastiere in quel paese,
Dove fôr questi et altre gente prese.
- ↑ Ml. Eti; Mr. Et isc; P. E’ ti scordato.
- ↑ P. lui vien.