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[St. 47-50] libro ii. canto xxxi 525

47 Ma dentro a l’acqua sì come era armato
     Gettossi e presto gionse insino al fondo,
     E là trovosse in piede, ad un bel prato:
     Il più fiorito mai non vidde il mondo.
     Verso il palagio il conte fu invïato,
     Ed era già nel cor tanto giocondo,
     Che per letizia s’amentava poco
     Perchè fosse qua gionto e di qual loco.

48 A lui davante è una porta patente,
     Qual d’oro è fabricata e di zafiro,
     Ove entrò il conte con faccia ridente,
     Danzando a lui le dame atorno in giro.
     Mentre che io canto, non posa la mente,
     Chè gionto sono al fine, e non vi miro;
     A questo libro è già la lena tolta:
     Il terzo ascoltareti un’altra volta.

49 Alor con rime elette e miglior versi
     Farò battaglie e amor tutto di foco;
     Non seran sempre e tempi sì diversi
     Che mi tragan la mente di suo loco;
     Ma nel presente e canti miei son persi,
     E porvi ogni pensier mi giova poco:
     Sentendo Italia de lamenti piena,
     Non che or canti, ma sospiro apena.

50 A voi, legiadri amanti e damigelle,
     Che dentro ai cor gentili aveti amore,
     Son scritte queste istorie tanto belle
     Di cortesia fiorite e di valore;
     Ciò non ascoltan queste anime felle,
     Che fan guerra per sdegno e per furore.
     Adio, amanti e dame pellegrine:
     A vostro onor di questo libro è il fine.



 

11-12. P. conte, con faccia ridente Damando. — 2i. MI. e Mr. hor canti; T. che io canti; P. ora canti.

  • In MI. segue qui 1' ottava, nella quale «i prometto la continua»

zioQe del poeiDtt, e che non può credersi opera del Boiawpo.