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[St. 19-22] libro ii. canto xxx 501

         Ma lui gionse ne l’elmo Marbalusto,
     Il qual portava in mano un gran bastone,
     Che avea ferrato tutto intorno il fusto;
     Lui gionse ne la testa il fio de Amone.
     Cotanta forza ha quel pagan robusto,
     Che quasi lo giettò fuor de lo arcione;
     Già tutto da quel canto era piegato,
     Ma Tardoco il ferì da l’altro lato.

         Tardoco, il re de Alzerbe, il tiene in sella,1
     Ferendo, come io dico, a l’altro canto,
     E Martasino adosso gli martella,
     Et il cimier gli ruppe tutto quanto.
     E, mentre che Ranaldo stava in quella,
     Il popol de’ Pagan, che era cotanto,
     Da Grifaldo guidato e Dudrinasso,
     Di novo i nostri posero in fraccasso.

         Tanta la gente sopra a’ nostri abonda,2
     Che non vi val diffesa a ogni maniera,
     A benchè alcun però non se nasconda.
     Ma tutta consumata è quella schiera,
     Onde al soccorso mosse la seconda,
     Che alle baruffe entrò ben volentiera;
     Nè soi megliori aveva il re de Francia
     Di questi dui, de ardire e di possancia:

         Del duca d’Arli, dico, il bon Sigieri,
     E ’l bono Uberto, duca di Baiona,
     Usi in battaglia e’ franchi cavallieri;
     E l’uno e l’altro avea forte persona.
     Via se ne vanno al par [d]e’ bon guerrieri,3
     De arme e de cridi il cel tutto risuona.
     E par che ’l mondo sieco se comova;
     Or la battaglia al campo se rinova.

  1. P. omm. il — Ml. tene — P. tenne.
  2. P. sopra i.
  3. T., Ml., Mr., e P. par de'.