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500 orlando innamorato [St. 15-18]

         Sì come Argosto, che in dietro rimase,
     E Ranaldo il ferì con gran possanza,
     E sino in su l’arcione il partì quase:
     Tre dita non se tenìa della panza.
     E quelle genti perfide e malvase
     Chi gietta l’arco e chi gietta la lanza,
     E chi lascia la tarca e chi il bastone,
     Tutti fuggendo a gran confusïone.

         Combatte in altra parte Martasino,
     Che ha per cimiero un capo de grifone,
     E sotto a quello uno elmo tanto fino,
     Che non teme di brando offensïone.
     Costui, veggendo per quel gran polvino
     Sua gente persa e la destruzïone1
     Che fa tra loro il sir di Montealbano,
     Là s’abandona con la spada in mano.2

         Gionse a Ranaldo dal sinistro lato
     E ne l’elmo il ferì de un manriverso;
     Quasi stordito lo mandò nel prato,
     Tanto fu il colpo orribile e diverso.
     Tardoco ancor di novo era arivato,
     E Bardarico gionse di traverso
     Con Marbalusto, che è sì grande e grosso;
     Ciascun tocca Ranaldo a più non posso.

         Lui da cotanti se diffende apena,
     Sì spesso del colpire è la tempesta;
     Ciascun de questi quattro è di gran lena,
     Nè l’un per l’altro di ferir se arresta.
     Ranaldo irato a Bardarico mena,
     E colse de Fusberta ne la testa,
     E fesse l’elmo e la barbuta e ’l scudo:3
     A mezo il petto andò quel colpo crudo.

  1. T., Ml. e Mr. persa.
  2. T. e Mr. Lui se ab.
  3. T. e Ml. lelmo.