[St. 3-6] |
libro ii. canto xxx |
497 |
Ranaldo a lui rispose con ruina,1
E tra lor duo se cominciò gran zuffa;
Ma l’una schiera e l’altra se avicina,
E tutti se meschiarno alla baruffa.
Benchè sia più la gente saracina,
Ciascun cristian dua tanta ne ribuffa:
Grande è il romor, orribile e feroce
Di trombe, di tamburi e de alte voce.2
Di qua, di là le lancie e le bandiere
L’una ver l’altra a furia se ne vano,
E, quando insieme se incontrâr le schiere
Testa per testa, a mezo di quel piano,
Mal va per quei che sono alle frontiere,
Perchè alcun scontro non ariva in vano;
Qual con la lancia usbergo e scudo passa,
Qual col destriero a terra se fraccassa.
E tuttavia Ranaldo e il re Sobrino
L’un sopra a l’altro gran colpi rimena,3
Benchè ha disavantaggio il saracino,
E dalla morte se diffende apena.
Ecco gionto alla zuffa Martasino,
Quello orgoglioso che ha cotanta lena;
E Bambirago è seco, e Farurante,4
E Marbalusto, il quale era gigante.
Alzirdo e il re Grifaldo viene apresso,
Argosto di Marmonda e Pulïano;
Tardoco e Mirabaldo era con esso,
Barolango, Arugalte e Cardorano,
Gualciotto, che ogni male avria commesso,
E Dudrinasso, il perfido pagano.
De quindeci ch’io conto, vi prometto,
Stasera non andrà ben cinque a letto.
- ↑ Mr. omm. a.
- ↑ T. e Ml. alte.
- ↑ Ml. e gran.
- ↑ P. e sieco è.