[St. 55-58] |
libro ii. canto xxix |
493 |
Figlio, cridava il re, figlio mio caro,
Oggi d’esser gagliardo ce bisogna;
Se tosto non se prende un bon riparo,
Noi siam condotti alla ultima vergogna.
Se mai fu giorno doloroso e amaro
Per Montealbano e per tutta Guascogna,
Se la Cristianità debbe perire,
Oggi è quel giorno, omai non de’ venire.1
A questo crido de lo imperatore
Il franco fio de Amon fu rivoltato,
Abenchè combattesse a gran furore
Con Feraguto, come io vi ho contato;
Il qual de la battaglia avia il peggiore,
E poco gli giovava esser fatato:
Tanto l’avea Ranaldo urtato e pisto,
Che un sì malconzo più non fu mai visto.
E sì fu per affanno indebilito,
Et avea l’armi sì fiaccate intorno,
Che intrare a nova zuffa non fu ardito,
Ma prese posa insino a l’altro giorno.
Ranaldo al campo lo lasciò stordito,
Tornando a Carlo, il cavalliero adorno,
Che ordinava le schiere a fronte a fronte
Verso Agramante, che discende il monte.
De le schiere ordinate la primiera
Dètte il re Carlo a lui, come fu gionto,
Dicendo: Va via ratto alla costiera,
Ove e nemici giù callano a ponto.
Fa che sieco te azuffi a ogni maniera
Nel piè del monte, sì come io ti conto;
Apizza la battaglia al stretto loco,2
Ove è quel re che ha in campo nero il foco.
- ↑ T. e Ml. die.
- ↑ P. battaglia in.