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[St. 59-62] | libro ii. canto xxvii | 463 |
Avanti a lui si stava ingenocchiata
Bona Ventura, lieta ne’ sembianti,
E parea dire: O dolce figliol, guata
Alle prodezze de gli avoli tanti,
E alla tua stirpe al mondo nominata;1
Onde fra tutti fa che tu ti vanti
Di cortesia, di senno e di valore,
Sì che tu facci al tuo bel nome onore.
Molte altre cose a quel gentil lavoro
Vi fôr ritratte, e non erano intese,
Con pietre prezïose e con tanto oro,
Che tutto alluminava quel paese.
Di sotto al pavaglione un gran tesoro
In vasi lavorati se distese,
De smeraldo e zaffiro e di cristallo,
Che valeano un gran regno senza fallo.
Non vi potrei contare in veritate
Il bel lavoro fatto a gentilezza;
Ninfe se gli vedeano lavorate,
Che eran tanto legiadre a gran vaghezza,
Che meritan da tutti essere amate;2
Vedeansi cavallier, e d[i] tal prodezza3
Quivi erano ritratti a non mentire;
Ma a qual fine, alcun non sapria dire.
Or Brandimarte presto lo abandona,
Come lo vidde a quel campo dricciato;
Sopra a Batoldo la franca persona
Presso a Biserta se appresenta armato,4
E con molta baldanza il corno suona.
Ne l’altro canto ve sarà contato
Come il fatto passasse e la gran giostra;5
Dio vi conservi e la Regina nostra.