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[St. 51-54] libro ii. canto xxvii 461

51 Questo era sì legiadro e sì polito,
     Che un altro non fu mai tanto soprano.
     Una Sibilla, come aggio sentito,
     Già stette a Cuma, al mar napolitano,
     E questa aveva il pavaglione ordito
     E tutto lavorato di sua mano;
     Poi fo portato in strane regïone,
     E venne al fine in man de Dolistone.

52 Io credo ben, Segnor, che voi sappiati
     Che le Sibille fôr tutte divine,
     E questa al pavaglione avea signati
     Gran fatti e degne istorie pellegrine
     E presenti e futuri e di passati;
     Ma sopra a tutti, dentro alle cortine,
     Dodeci Alfonsi avea posti de intorno,
     L’un più che l’altro nel sembiante adorno.

53 Nove di questi ne la fin del mondo
     Natura invidïosa ne produce,
     Ma di tal fiamma e lume sì iocondo,
     Che insino a l’orïente facean luce;
     Chi avea iustizia e chi senno profondo,
     Quale è di pace, e qual di guerra duce;
     Ma il decimo di questi dieci volte
     Le lor virtute in sè tenea raccolte.

54 Pacifico guerrero e trïomfante,
     Iusto, benigno, liberale e pio,
     E l’altre degne lode tutte quante
     Che può contribuir natura e Dio.
     La Africa vinta a lui stava davante
     Ingenocchiata col suo popol rio;
     Ma lui de Italia avea preso un gran lembo,
     Standosi a quella con amore in grembo.

12. MI. ittorie e. — 13. T., Mr. u P. e di pattati. — 19. P. tal fuma.

81. P. avtva preso un lembo.