[St. 51-54] |
libro ii. canto xxvii |
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Questo era sì legiadro e sì polito,
Che un altro non fu mai tanto soprano.
Una Sibilla, come aggio sentito,
Già stette a Cuma, al mar napolitano,
E questa aveva il pavaglione ordito
E tutto lavorato di sua mano;
Poi fo portato in strane regïone,
E venne al fine in man de Dolistone.
Io credo ben, Segnor, che voi sappiati
Che le Sibille fôr tutte divine,
E questa al pavaglione avea signati
Gran fatti e degne istorie pellegrine1
E presenti e futuri e de’ passati;2
Ma sopra a tutti, dentro alle cortine,
Dodeci Alfonsi avea posti de intorno,
L’un più che l’altro nel sembiante adorno.
Nove di questi ne la fin del mondo
Natura invidïosa ne produce,
Ma di tal fiamma e lume sì iocondo,3
Che insino a l’orïente facean luce;
Chi avea iustizia e chi senno profondo,
Quale è di pace, e qual di guerra duce;
Ma il decimo di questi dieci volte
Le lor virtute in sè tenea raccolte.
Pacifico guerrero e trïomfante,
Iusto, benigno, liberale e pio,
E l’altre degne lode tutte quante
Che può contribuir natura e Dio.
La Africa vinta a lui stava davante
Ingenocchiata col suo popol rio;
Ma lui de Italia avea preso un gran lembo,4
Standosi a quella con amore in grembo.
- ↑ Ml. istorie e.
- ↑ T., Mr. e P. e di passati.
- ↑ P. tal fama.
- ↑ P. aveva preso un lembo.