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[St. 3-6] | libro ii. canto xxvii | 449 |
Nel canto qui di sopra io vi lasciai1
Di Fugiforca, il quale, essendo preso
Per Brandimarte, menava gran guai,
Et essendosi a lui per morto reso,
Con molto pianto e con lacrime assai,
Standoli avante alla terra disteso,
Per pietate e mercè l’avea a pregare
Che non lo voglia alla Liza menare.
— Se tu mi meni alla Liza, barone,
Di me fia fatta tanta crudeltate,
Che, ancor che ben la merti di ragione,
Insino a’ sassi ne verrà pietate.
Deh prendate di me compassïone!
Non che io voglia campare in veritate,
Ch’io merto che la vita mi sia tolta,
Ma non voria morir più de una volta.
E là di me fia fatto tanto strazio
Quanto mai se facesse di persona;
Quel re del mio morir non serà sazio,
Chè troppo ingiurïai la sua corona;
E forse questo me ha condotto al lazio,2
Sì come ne’ proverbi se ragiona
E come experïenzia fa la prova:
Peccato antiquo e penitenzia nova.
Perchè, essendo una volta alla marina,
Qual da la Liza poco se alontana,
Perodia vi era in festa, la regina,
Con Dolistone, intorno a la fontana;
Io, là correndo, presi una fantina,
Qual poi col conte di Rocca Silvana
Cambiai ad aspri, e fôrno da due miglia:3
Questa di Dolistone era la figlia.
Boiardo. Orlando innamorato. Voi. II. ì®