[St. 51-54] |
libro ii. canto xxvi |
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Non creder già che per questa paura
Che era incontrata, io me fossi smarita,
Ma più volte me posi alla ventura
Dicendo: Agli animosi il celo aita.
E benchè sempre uscisse alla sicura,
Non fu la zelosia giamai partita
Dal mio marito, e crebber sempre sdegni,
E pur comprese al fin de’ brutti segni.
E di guardarme quasi disperato,
Se consumava misero e dolente,
Sempre cercando un loco sì serrato
Che non se apresse ad anima vivente;
E trovò al fine il palazo incantato,
Ma non vi era il gigante, nè il serpente,
Qual ritrovasti alla porta davante:
Questo a sua posta fece un negromante.
Ragionava in tal modo Doristella
Et altre cose assai volea seguire,
Chè non era compita sua novella,
Quando vide de un bosco gente uscire,
Ch’è parte a piedi e parte in su la sella:
Tutti erano ladroni, a non mentire.
Ciascaduno di lor crida più forte:
Colui s’affermi, che non vol la morte!
— Stative adunque fermi in su quel prato,
Rispose a quei ladroni il cavalliero,
Chè, se alcun passa qua dal nostro lato,
De aver bone arme gli farà mestiero! —
Un che tra lor Barbotta è nominato,
Senza ragione e dispietato e fiero,
Gli vien cridando adosso con orgoglio:
Se Dio te vol campare, et io non voglio.