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orlando innamorato |
[St. 47-50] |
Ove è il mio manto, di’, falso strepone,
Qual me involasti [i]ersera a l’osteria?
Or fusse qua vicino il tuo patrone,
Che ben de l’altre cose gli diria,
E pur voria saper se di ragione
Tu debbi satisfar la roba mia;
E quando io non ne possa aver più merto,
De pugni vo’ pagarmi, io te fo certo.
Nè avea compite le parole apena,
Che un altro pugno gli pose su il viso,
Sempre dicendo: Ladro da catena!1
Ben ti smacarò gli occhi, io te ne aviso;
E tutta fiata pugni e calci mena,
Sì che la cosa non andò da riso
Per questa fiata al tristo de Gambone,
Benchè ciò fusse sua salvazïone.
Perchè Usbego, mirando alla apparenza
Del giovinetto che mostrava ffero,2
Alle parole sue dette credenza,
Come avrian fatto molti de ligiero;3
Però che non avea sua cognoscenza,
Nè avria stimato mai che un forestiero
Fusse venuto tanto di lontano
Per quello amor che lui stimava vano.
Senza altramente palesarse ad esso,
Fece Gambone adietro ritornare,
E poi secreto il dimandò lui stesso
Ciò che con quel garzone avesse a fare.
Il schiavo, che era un giotto molto espresso,4
Seppe la cosa in tal modo narrare,
Che per un dito fo creduto un braccio,
E campò lui, e me trasse de impaccio.5
- ↑ T. ladro di; Mr. ladro de.
- ↑ Ml., Mr. e P. che si mostra.
- ↑ T. havean.
- ↑ T., Ml. e Mr. molto spesso.
- ↑ Mr. me stesso de.