[St. 35-38] |
libro ii. canto xxvi |
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Venne de Armenia in Bursa Teodoro,
Quale io te dissi che cotanto amava,
Per dare a l’amor nostro alcun ristoro;
Et alla via più presto se attaccava,1
Chè portato avea sieco assai tesoro,
Onde Gambone in tal modo acquetava,
Che ciascaduna notte a suo diletto
L’uscio gli aperse e meco il pose in letto.
Ora intervenne fuor di nostra stima
Che ’l mio marito gionse avanti al giorno,
Et alla nostra porta picchiò, prima
Che in Bursa se sapesse il suo ritorno.
Or per te stesso, cavalliero, estima
Se ciascadun de noi ebbe gran scorno,
Io, dico, e Teodoro, il caro amante,
Quale era gionto forse una ora avante.
Incontinente il cognobbe Gambone
Alla sua voce, chè l’aveva in uso,
E disse: Noi siam morti! Ecco il patrone!’
E Teodoro ancor esso era confuso.
Ma io mostrai del scampo la ragione,
E pianamente lo condussi giuso,
Dicendo a lui: Come entra il mio marito,
Così di botto fuor serai uscito.
Come sei fuora e ch’èn calati i panni,2
Chi avria giamai di questo fatto prova?
Se mio marito ben crida mille anni,
A confessar non creder che io me muova.
Lui dirà brontolando: Tu me inganni.
Trista la musa che scusa non trova!
Se giuramento ce può dare aiuto,
Alla barba l’avrai, becco cornuto!
- ↑ T., Ml. e Mr. presto.
- ↑ T. e Mr. o — P. ch’è calato.