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orlando innamorato |
[St. 31-34] |
Sobasso era di Bursa il mio marito,
E turcomano fo de nazïone;
Gagliardo era tenuto e molto ardito,
Ma certo che nel letto era un poltrone,
Abenchè a questo avria preso partito,
Pur che io gli avessi avuto occasïone;
Ma tanto sospettoso era quel fello,
Che me guardava a guisa de un castello.
E giorno e notte mai non me abandona,
Ma sol de basi me tenea pasciuta,
Nè il matino, o la sera, ni di nona1
Concede che dal sole io sia veduta,
Perchè non se fidava di persona.
Ma sempre a’ bisognosi il celo aiuta,
Chè al mio marito fo forza di andare
Con gli altri Turchi che han passato il mare.2
Passarno i Turchi contra Avatarone,3
Che avea de’ Greci il dominio e l’imperio,
E mio marito con molte persone4
Convenne andar, non già per disiderio.
Avea egli un schiavo chiamato Gambone,
Che a riguardar proprio era un vituperio;5
L’uno occhio ha guerzo e l’altro lacrimoso
Troncato ha il naso, et è tutto rognoso.
A questo schiavo me ricomandava,
Che de la mia persona avesse cura,
E con aspre parole il minacciava
De ogni tormento e de ogni pena dura,6
Se dal mio lato mai se discostava
Nè tutto il giorno, nè la notte oscura.
Or pensa, cavallier, come io rimase;
De la padella io caddi nelle brase.7
- ↑ Ml. da nona.
- ↑ Mr. e P. omm. gli.
- ↑ T. e Mr. Avatarone; Ml. avaratone.
- ↑ P. E ’l.
- ↑ Ml. riguardare proprio un (riguardar è?); P. riguardar è.
- ↑ Ml. tormento et ogni.
- ↑ Ml. e P. ne la.