[St. 11-14] |
libro ii. canto xxvi |
435 |
Così certo fossi io del paradiso,
Come io son certo, chinandomi un poco,
Che quella serpe me trarà nel viso,
O pigliarami a’ denti in altro loco.
Egli è proprio così come io diviso!1
Altri che me fia gionto a questo gioco,2
E dammi quella falsa tal conforto
Per vendicare il suo baron che è morto.
Dicendo questo indietro se retira,
E destinato è più non se accostare.3
Or ben forte la dama se martira,
E dice: Ahi vil baron! che credi fare?
Tanta tristezza entro il tuo cor se agira,
Che in grave stento te farà mancare.
Del suo scampo lo aviso, e non mi crede!
Così fa ciascadun che ha poca fede.
Or Brandimarte per queste parole
Pur tornò ancora a quella sepoltura,
Benchè è pallido in faccia, come suole,
E vergognosse de la sua paura.4
L’un pensier gli disdice, e l’altro vôle,
Quello il spaventa, e questo lo assicura;
Infin tra l’animoso e il disperato
A lei se accosta, e un baso gli ebbe dato.
Sì come l’ebbe alla bocca baciata,
Proprio gli parve de toccare un giaccio;
La serpe, a poco a poco tramutata,
Divenne una donzella in breve spaccio.
Questa era Febosilla, quella fata
Che edificato avea l’alto palaccio
E il bel giardino e quella sepoltura
Ove un gran tempo è stata in pena dura.
- ↑ T. E gli.
- ↑ T. e Ml. Altri.
- ↑ Mr. omm. e.
- ↑ Mr. Ben che è; P. Benchè è... E’ vergognossi.