[St. 3-6] |
libro ii. canto xxvi |
433 |
E Lancilotto e sua regina bella
Mostrarno l’un per l’altro un tal valore,
Che dove de’ soi gesti se favella,
Par che de intorno il celo arda de amore.
Traggase avanti adunque ogni donzella,
Ogni baron che vol portare onore,
Et oda nel mio canto quel ch’io dico
De dame e cavallier del tempo antico.
Ma dove io vi lasciai, voglio seguire,
Di Brandimarte e sua forte aventura,
Qual quella dama di cui vi ebbi a dire,
Avea condotto a quella sepoltura,
Dicendo: Questa converrai aprire,
Ma poi non ti bisogna aver paura.
Conviente essere ardito in questo caso:
A ciò che indi uscirà, darai un baso.
Come! Un baso? rispose il cavalliero.
È questo il tutto? Ora evvi altro che fare?
Non ha lo inferno un demonio sì fiero,
Che io non gli ardisca il viso de accostare.1
Di queste cose non aver pensiero,
Che dece volte lo averò a basare,2
Non che una sola, e sia quello che voglia;3
Orsù! Che quella pietra indi si toglia.
Così dicendo prende uno annel d’oro,
Che avea il coperchio de la sepoltura,
E, riguardando quel gentil lavoro,
Vide intagliata al marmo una scrittura,4
La qual dicea: Fortezza, nè tesoro,
Nè la beltate, che sì poco dura,
Nè senno, nè lo ardir può far riparo,
Ch’io non sia gionta a questo caso amaro.
- ↑ Mi. e P. omm. gli.
- ↑ Ml. volte io.
- ↑ P. quel che si.
- ↑ T., Ml. e P. intagliata.