[St. 47-50] |
libro ii. canto xxv |
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Contra di lui, di là dal Po nel piano,
Eran Boemi et ogni gibillino,
Con quel crudel che il nome ha di Romano,
Ma da Trivisi il perfido Azolino;
Che non se crede che de patre umano,
Ma de lo inferno sia quello assassino;
Ben chiariva la istoria il suo gran storno,
Chè ha dame occise e fanciullini intorno.
Undeci millia Padovani al foco
Posti avea insieme il maledetto cane,
Che non se odì più dire in alcun loco
Tra barbariche gente o italïane;
Poi se vedeva là nel muro un poco
Con le sue insegne e con bandiere istrane
Di Federico imperator secondo,
Che la Chiesa de Dio vol tor del mondo.
Di là le sante chiave, e in sue diffese
L’acquila bianca nel campo cilestro,
E quivi eran depente le contese
E la battaglia di quel passo alpestro;
Et Azolin se vedia là palese,
Passato di sagitta il piè sinestro1
E ferito di mazza nella testa,
E’ soi sconfitti e rotti alla foresta.
E la faccia seconda era finita
De la gran loggia con lavor cotale.
Ma ne la terza è lunga istoria ordita
De una persona sopranaturale,
Sì vaga nello aspetto e sì polita,
Che non ebbe quel tempo un’altra tale;
Tra zigli e rose e fioretti d’aprile
Stava coperta la anima gentile.