[St. 39-42] |
libro ii. canto xxv |
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Non era a terra quel gigante apena,
Che il campïon che a l’altra porta stava,
Ver Brandimarte venne di gran lena,
Onde la zuffa qua se cominciava,
E de gran colpi l’uno a l’altro mena,
Ma sempre Brandimarte lo avanzava;
E per conclusïone in uno istante
Morto il distese apresso a quel gigante.
E Fiordelisa, quale era seguita
Dentro alla loggia il cavallier soprano,
Veggendo la battaglia esser finita
Dio ne ringrazïava a gionte mano.
Or la porta ove entrarno, era sparita,
E per vederla se riguarda in vano;
Ben per trovarla se affannarno assai,
Ma non se vede ove fusse pur mai.
Onde si stanno, e non scian che si fare,
E solo una speranza li assicura:
Che quella dama che gli ebbe a cennare,
Gli mostri a trarre a fin questa ventura.1
Ma, stando quivi in ocio ad aspettare,
Cominciarno a mirar la depintura
Che avea la loggia istorïata intorno
Vaga per oro e per color adorno.
La loggia istorïata è in quattro canti,
Et ha per tutto intorno cavallieri,
Grandi e robusti a guisa de giganti,
E con lor soprainsegne e lor cimieri.
Sopra allo arcione e armati tutti quanti,2
Sì nella vista se mostravan fieri,
Che ciascadun che intrava de improviso,
Facean cambiar per meraviglia il viso.
- ↑ T. e Ml. a fin.
- ↑ T. e Ml. omm. e.