[St. 23-26] |
libro ii. canto xxv |
423 |
Avendo occiso al campo Barigaccio,
Come io contai, quel perfido ladrone,1
Con la sua dama in zoia et in sollaccio
Venìa sopra a Batoldo, il bon ronzone;
E caminando gionse ad un palaccio,
Che avea verso a un giardino un bel verone,
E sopra a quel verone una donzella
Vestita de oro, e a maraviglia bella.2
Quando ella vidde il cavallier venire,
Cignava a lui col viso e con la mano
Che in altra parte ne dovesse gire,
E che al palazzo passasse lontano;
Ora, Segnori, io non vi saprei dire
Se Brandimarte intese, o non, certano;
Ma cavalcando mai non se ritiene
Sin che a la porta del palazzo viene.3
Come fu gionto alla porta davante,
Dentro mirando vidde una gran piazza
Con loggie storïate tutte quante:4
Di quadro avea la corte cento brazza.
Quasi a mezo di questa era un gigante,
Qual non avea nè spada, nè mazza,
Nè piastra o maglia, e de altre arme nïente,
Ma per la coda avea preso un serpente.
Il cavallier de ciò ben si conforta,
Poi che ha trovata sì strana aventura;
Ma in su quel dritto aperta è un’altra porta,
Che del giardin mostrava la verdura,5
E un cavallier, sì come alla sua scorta,
Si stava armato ad una sepoltura;
La sepoltura è in su la soglia aponto
Di questa porta, sì come io vi conto.
- ↑ T. qual.
- ↑ Ml., Mr. e P. omm. e.
- ↑ Ml. e P. ritenne — venne.
- ↑ T., Ml. o P. istoriate.
- ↑ T., Ml. e P. ed altre.