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[St. 51-54] | libro ii. canto xxiv | 413 |
51 Mentre che parla, ponto non se aresta,
Ma mena a Feraguto invelenito,
E gionse il colpo orribile alla testa,
Tal che alle croppe il pose tramortito.
Ferir non fu giamai di tal tempesta:
Ben stava il saracino a mal partito,
Per uscir da ogni lato dello arcione;
Quasi mezza ora stette in stordigione.
52 Il sangue gli uscia fuor di bocca e naso,
Già ne avea lo elmo tutto quanto pieno.
Or lasciar me il conviene in questo caso,
Chè la istoria ad Orlando volge il freno.
Dietro a Ranaldo è il paladin rimaso,
Però che ’l suo destrier corre assai meno,
Io dico Brigliador, che non Baiardo;
Però qua gionse il conte un poco tardo.
53 Quando fu gionto e vidde il re Carlone
Fuor di periglio in su lo arcion salito,
Che avea afrontato il re Marsilïone,
Anci in tre parte già l’avea ferito;
E d’altra parte il franco fio de Amone
Conduce Feraguto a mal partito:
Quando ciò prese il conte a rimirare,
- Ahimè! - diceva, - qua non ho che fare!
54 A quel che io vedo, le poste son prese;
Male aggia Balduino il traditore!
Qual bene è de la gesta maganzese,
Che in tutto il mondo non è la peggiore.
Per lui son consumato alla palese,
Perduta è la speranza del mio amore;
Persa è mia gioia e il mio bel paradiso
Per lui che tardo gionse a darmi avviso.
1. T. e MI. ponto non $e ar. - ». T., MI. e i'. omiu. ti. — ai. T. l'erta
- MI. Persa i la min - il mio.