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orlando innamorato |
[St. 47-50] |
Ranaldo gionse in fronte a Feraguto,
E, se non era quello elmo affatato,
Lo avria fiaccato in pezzi sì minuto,
Che ne l’arena non se avria trovato.
Callò Fusberta e giù colse nel scuto,
Che era di nerbo e di piastra ferrato;
Tutto lo spezza e tocca ne lo arcione:
Mai non se vidde tal destruzïone.
E ben responde il saracino al gioco,
Ferendo a lui ne lo elmo di Mambrino,
E quel se divampava a fiamma e foco,
Ma nol puote attaccar, cotanto è fino.
Il scudo fraccassò proprio a quel loco
Che a lui avea fiaccato il paladino,
E gionse ne lo arcione a gran tempesta:
Più de tre quarti en porta a la foresta.
Nè pone indugia, chè un altro ne mena,
E gionse pur ne lo elmo di traverso.
Pensàti se egli avea soperchia lena:
Quasi Ranaldo a terra andò roverso,
E se sostenne con fatica e pena;
La vista aveva e lo intelletto perso.
Baiardo il porta e nel corso se serra,
Ciascun che ’l guarda, dice: Eccolo in terra!
Ma pur rivenne, e veggendo il periglio
A che era stato e la vergogna tanta,1
Tutto nel viso divenne vermiglio
Dicendo: Un Saracin di me si vanta?
Ma se mo mo vendetta non ne piglio,
La vita vo’ lasciarvi tutta quanta,
E l’anima allo inferno e il corpo a’ cani,
Se mai de ciò se vanta tra’ Pagani.
- ↑ Mr. a chera stato; P. A ch’è restato.